La riscoperta dell’Alta Cucina monastica

Dalla Liguria alla Sicilia una selezione di trattorie, ristoranti e refettori in cui riscoprire l’aulica semplicità della cucina monastica: piatti genuini ed essenziali preparati per i visitatori seguendo le antiche ricette tramandate in secoli e secoli di vita e ospitalità religiosa.

Accostare la cucina a una moda non significa per forza abusare di un luogo comune: può indicare piuttosto la volontà di fare riferimento a un mondo, quello culinario, in costante evoluzione. Un mondo ricco di tendenze che cambiano, sembrano quasi sparire per poi ricomparire periodicamente.

Nell’anno del Giubileo della Misericordia fortemente voluto da Papa Francesco e inaugurato lo scorso 8 dicembre, la tendenza è la riscoperta della cucina monastica: una cucina poco elaborata che riporta indietro nel tempo fino al Medioevo, quando erano proprio le istituzioni religiose – all’epoca dotate di grande potere – a dettare le regole le gioco. Ideavano ricette semplici che, tuttavia, prevedevano una prima, audace combinazione degli ingredienti esaltati dai profumi delle erbe aromatiche, generalmente coltivate negli orti dei monasteri.

Alta Cucina monastica

Elevare la cucina di tradizione monastica a tendenza dei giorni nostri ha un significato importante che trascende il mondo gastronomico: l’obiettivo è infatti riscoprire il valore simbolico ed essenziale del cibo proprio nei luoghi da sempre dedicati alla meditazione e alla riflessione. Non a caso l’invito a sottolineare unitamente l’importanza del cibo e quella della contemplazione è giunto anche dal Padiglione della Santa Sede a Expo2015. Nei sei mesi di Esposizione Universale il messaggio del Vaticano campeggiava all’esterno dell’edificio sintetizzato in due famose frasi bibliche: Dacci oggi il nostro pane quotidiano e Non di solo pane vive l’uomo.

Ad accogliere i moltissimi pellegrini che nei prossimi mesi raggiungeranno il nostro Paese da ogni parte del mondo saranno, dunque, i refettori delle abbazie e i tanti ristoranti legati in vario modo al mondo ecclesiastico. Volendo percorrere idealmente lo Stivale alla ricerca dei luoghi simbolo in cui accostarsi alla cucina monastica, una prima tappa potrebbe essere a Genova, alla trattoria ‘A Lanterna, aperta alla fine degli anni Settanta dal “prete di strada” Don Andrea Gallo e dalla comunità di San Benedetto al Porto. Una caratteristica trattoria marinara, una delle più tipiche della città, gestita da ragazzi con difficili esperienze di vita alle spalle e arricchita, nella scorsa primavera, dal restyling dello Chef Antonino Cannavacciuolo. Qui a farla da padrone è senza dubbio il pesce: frittura mista, insalata di polpo e guazzetto di calamari sono tra i piatti preferiti dagli ospiti.

Alta Cucina monastica

Proseguendo il viaggio verso il cuore della Penisola, merita una sosta la cucina del Monastero di Sant’Antonio a Norcia (PG), che non prevede, invece, un menù fisso. Nella comunità, arroccata sulle vecchie mura settentrionali della città, i piatti del giorno vengono preparati assecondando le disponibilità delle stagioni e prediligendo i prodotti del territorio. Sono le monache benedettine a prendersi cura del piccolo allevamento di conigli, a coltivare l’orto e a stendere la sfoglia per la pasta, da condire poi con il pezzo forte del ristorante: un pesto di basilico insaporito da pomodori, funghi e olive nere.

Alta Cucina monastica

Alta Cucina monastica

A Roma, tra il Pantheon e Piazza Navona, il Ristorante L’Eau Vive è gestito dalle Lavoratrici missionarie dell’Immacolata. Nella suggestiva ed elegante cornice di Palazzo Lante, ogni sera la cena è annunciata dal canto dell’Ave Maria, la preghiera che le suore recitano prima di servire in tavola piatti raffinati, tipici della cucina francese: Crema di lattuga alla nocciola, Foie gras con pane tostato, Quiche Lorraine, Petto d’anatra e Filetto di manzo con pepe, arancia e Cointreau. Il respiro cosmopolita del Ristorante è sottolineato però dal piatto internazionale del giorno: ogni giorno, dal lunedì al sabato, è proposto un piatto tipico di ciascun continente, dall’Africa all’Asia, dall’America all’Oceania.

Alta Cucina monastica

Alta Cucina monastica

Altro esempio di eleganza e discrezione è il Ristorante dell’Abbazia di Montevergine, a Mercogliano (AV). Inaugurato nell’agosto del 2010, chiude nella stagione invernale per riaprire in primavera. Nelle sue sale gradevoli e accoglienti si pranza circondati da antiche arcate in pietra, gustando piatti a base di tartufo preparati secondo le tradizioni locali utilizzando i prodotti del territorio.

Alta Cucina monastica

Alta Cucina monastica

Per concludere questo viaggio attraverso l’Italia della tradizione monastica, una sosta è d’obbligo alla Pasticceria Grammatico di Erice (TP). La fondatrice e proprietaria, Maria Grammatico, fa scoprire ogni giorno ai suoi clienti i segreti appresi durante i 15 anni trascorsi nel Convento di San Carlo, dove venne mandata dopo essere rimasta orfana del padre quando era poco più che una bambina. Tra le tante golosità preparate con cura e attenzione, si consigliano i caratteristici dolci di mandorle, tipici della tradizione conventuale siciliana, e il pezzo forte della signora Maria, le Genovesi: delicati dischi di pastafrolla ripieni di un cuore di crema pasticcera.

Alta Cucina monastica

Le Genovesi
Le Genovesi

Tradizioni secolari e l’intramontabile arte dell’ospitalità sono gli ingredienti fondamentali della cucina monastica, una cucina perlopiù semplice che sa esaltarsi nella condivisione e nella sua dimensione conviviale. Una cucina che, nell’anno del Giubileo, cercherà di riavvicinare a sé pellegrini e non, per mettere in tavola, insieme ai piatti tipici della tradizione, anche l’invito a riscoprirsi sensibili al valore simbolico di ciò che mangiamo.

Sara Stopponi

La riscoperta dell’Alta Cucina monastica

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