Il prediletto dei papi e dei re

Cinque Terre Sciacchetrà di Capellini

fotoDeve essere davvero delizioso per diventare la scelta di bevitori tanto esigenti. Gli uomini di Chiesa lo chiamavano “Sceccattras”, il vino di cui si riforniva la parrocchia, il migliore, quello destinato alla consacrazione e che simboleggiava il sangue di Cristo nel corso della cerimonia religiosa.

Lo Sciacchetrà è un passito, il cui nome trae origine dal termine “shekar”, antica parola semitica che indica le bevande fermentate. I contadini delle Cinque Terre lo associavano alla frase “sciacca e metrata”, rivolta al gesto di “mettere dietro la botte”.

Il vino di Dio viene prodotto da Luciano Capellini nella cantina “der Vin Bun”, dal vitigno autoctono di Bosco, aggiungendo piccole quantità di Arbarola e Vermentino. Le uve vengono lasciate appassire sino al primo novembre in un ambiente asciutto e ventilato; successivamente pigiate e lasciate fermentare per 21 giorni, esse sono travasate e destinate a un anno di affinamento. Ne deriva un elegante abito ambrato luminosissimo, che lascia presagire verso l’eccellenza: il nostro naso incontra in sequenza albicocca essiccata, miele, canditi e datteri, tutti accompagnati poi in bocca da un’imponente sapidità e da un’infinita dolcezza, che determinano l’avvolgente persistenza dello Sciacchetrà.

foto-2Luciano impara il mestiere da nonno Bernardo, il quale era solito accontentare le innumerevoli richieste di coloro che domandassero di quel vino dolce tenuto nascosto dietro le botti. Cielo, sole, mare e vigneti: il territorio delle Cinque Terre è stato dichiarato dall’UNESCO Patrimonio mondiale dell’Umanità nel 1997 ed è divenuto Parco Nazionale nel 1999. Volastra, sede dell’azienda, si trova in una posizione collinare, a circa 330 metri sul livello del mare, e sovrasta i cinque “presepi” marinari di Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso. Gli incantevoli terrazzamenti della Valle dei Pozzi e Costa da Posa fanno solo da sfondo al vero punto di forza delle Cinque Terre: la cultura e la tradizione contadina. Il lavoro dei Capellini rispecchia, infatti, quelle che sono le radici della famiglia, del capostipite Domenico, detto il “Begheo” e di sua moglie Giulia. La Casata dei Beghee fa vino esattamente come lo facevano i padri, i nonni, tenendo vividi in uno dei cassetti della memoria gli insegnamenti di anni, la pazienza e la dedizione trasmesse, guardando al futuro con la stessa curiosità con cui si guarda al passato.

Serena Zerilli

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