Bello da mangiare. Il cibo dall’arte al food design

“Non meno che un a qualsivoglia esperienza estetica o opera d’arte, un pasto può rientrare nelle coordinate di un gusto classico, o barocco, o semplice-rurale, o sofisticato-decadente, e così via […] Non entrano solo gli ingredienti materiali del cibo, bensì molti altri elementi di accompagnamento più o meno esterno […]”.

“L’asse che unisce il crudo e il cotto è caratteristico della cultura, quello che unisce il crudo e il putrido lo è della natura, giacché la cottura compie la trasformazione culturale del cibo, come la putrefazione ne è la trasformazione naturale” [Lévi-Strauss, Il crudo e il cotto]copertinabellodamangiare

Questa emblematica frase penso sia l’asse portante di questo libro. Il cibo che coinvolge i sensi ed emoziona fino all’inverosimile  L’arte nei secoli lo ha rappresentato attraverso allegorie a volte gioiose a volte anche spaventose, attraverso richiami al mondo dell’eros e all’abbondanza.

“Bello da mangiare” stuzzica la curiosità del lettore pagina dopo pagina e lo conduce in una galleria d’arte virtuale dove attraverso le immagini si scopre come alcuni artisti siano stati ispirati nelle proprie opere più celebri per rappresentare un contesto storico particolare, una determinata classe sociale o uno stato d’animo. Artisti e opere che, dal Medioevo al Novecento, hanno raffigurato cibi e scenari conviviali, sono stati in definitiva reinterpretati da Ave Appiano per essere resi comprensibili nel loro messaggio nascosto ma forte e incisivo se pure in maniera indiretta e impercettibileÈ interessante notare che nel testo i quadri vengono analizzati dalla semiologa come se i personaggi e gli oggetti che vi sono all’interno fossero esseri animati: questa è la forza dell’arte!

Un esempio è il pittore fiammingo Bruegel, noto per il proprio stile figurativo fortemente influenzato dal predecessore Bosch. Nei suoi quadri è evidente una carica spirituale che lega l’uomo alla terra e, attraverso la rappresentazione della quotidianità lega l’essere umano (umile) al sacro (aulico). Nel testo viene analizzata la sua opera “Banchetto nunziale” e se ne scoprono dettagli che a prima vista parrebbero impercettibili ma che in realtà hanno la capacità di influenzare in maniera subliminale lo spettatore. Infatti il motivo stesso dell’opera è organizzato spazialmente da Bruegel in modo da incentrare l’attenzione dell’osservatore sull’abbondanza del vino di mele (oggetto statico posto sulla sinistra una posizione tipicamente utilizzata nelle scene cinematografiche per collocare oggetti o personaggi che debbano essere al centro dell’attenzione) e sulla voracità (azione) dei commensali che letteralmente divorano il cibo appena sfornato, ad augurare un buon augurio, l’auspicio dell’abbondanza, a testimoniare che esiste una fame – allegoricamente rappresentata nel quadro – che può esser sfamata e scongiurata in qualche maniera. 

Peter Bruegel il Vecchio - Banchetto nunziale. 1568 c.a., Vienna
Peter Bruegel il Vecchio – Banchetto nunziale. 1568 c.a., Vienna

Dalle immagini di episodi di vita quotidiana l’analisi dell’autore si sposta nella seconda parte del testo sul genere della natura morta, e, inevitabilmente viene trattata la figura del celebre Arcimboldo, simbolo indiscusso del cibo d’autore! Chi non conosce i suoi volti? Austeri, enigmatici e buffi allo stesso tempo, con quel non so che di effimero che è tipico degli elementi naturali acerbi, poi belli allo stato maturo e quindi fatiscenti. Ma Arcimboldo che per i suoi tempi fu un “pittore d’avanguardia” aprì la strada ad altri artisti che della natura morta ne fecero pop-art e poi simbolismo puro per rappresentare gli stati d’animo umani, prima come i pittori barocchi fino ad arrivare a Dalì e poi a Botero.

Fernando Botero - Natura morta con gelato. 1990, collezione privata.
[Fernando Botero – Natura morta con gelato. 1990, collezione privata.] Gioiosa, colorata e ridondante come le sue figure umane “oversize”, è la “Natura morta con gelato” di Fernando Botero, del 1990. La coppa di gelato arancione e la fetta di torta fucsia sbocconcellata, circondate da frutti e da una rotonda, paciosa zuppiera, sono un inno all’attrattiva dei “dolci da fiera”, che occhieggiano fosforescenti da banchetti improvvisati per gli sguardi golosi dei bambini. “Dolci proibiti” per eccellenza, che si oppongono all’idea dell’alimentazione leggera che la vorrebbe far da padrona in un’epoca di privazioni monacali e feroci controlli sulle proprie rotondità in nome di un’estetica che si nutre solo di apparenza. D’altronde, proprio l’artista colombiano è noto per la sua avversione alle mode di ogni tipo e dichiara: “Credo che l’arte debba dare all’uomo momenti di felicità, un rifugio di esistenza straordinaria, parallela a quella quotidiana. Invece gli artisti oggi preferiscono lo shock e credono che basti provocare scandalo. La povertà dell’arte contemporanea è terribile, ma nessuno ha il coraggio di dire che il re è nudo”.

Sulle  tele le nature sono morte nel proprio silenzio e parlano un linguaggio che nel 600 traboccava di umanesimo, dissimulando sotto le apparenze delle “cose” – spesso vivande – , eloquenti dialoghi silenziosi. È in queste opere che i “sensi” di chi osserva si incrociano con i significati profondi di ciò che è rappresentato, e che trasuda, a seconda di ciò che vorrebbe raccontare l’autore  la vanità e l’inquietudine, l’appetito della conoscenza e l’illusione delle virtù monacali. Ogni natura morta è in un certo senso un banchetto che si offre allo spettatore che – in qualche modo – deve capire come “mangiarla”.

Quale è l’intento dell’autrice?

Al termine del testo le conclusioni sono che alla luce dei cambiamenti storici, culturali e quindi anche delle abitudini alimentari, c’è stata negli ultimi tempi un’evoluzione nota come food-design che ha creato il connubio tra arte visiva e cibo, tra apparenza ed essenza insomma. Oggi ci si accosta a delle opere d’arte non più solo a dei piatti da portata, attraverso il gusto e l’olfatto, venendo catturati dal loro aspetto, dalle forme, dai colori e dagli odori che si sprigionano. D’altronde, se non era ancora noto come food-design anche in altri contesti storici si è avuto un fenomeno simile, come ad esempio con la cucina fascista, o con i cibi legati al fenomeno delle avanguardie russe etc..  

Salvator Dalì - La cena di Gala
Salvator Dalì – La cena di Gala

Il cibo, alla pari dei soggetti artistici del passato si presta ad essere un’icona pop, bella e da consumare continuamente all’occorrenza, in una società che purtroppo però è diventata fin troppo consumista e poco produttiva: il cibo, insomma, dovrebbe ritornare ad essere più rispettato, un po’ come accade per l’immagine umana divenuta merce inflazionata sul mercato dell’immagine. Vero è che il genuino non coincide in realtà sempre col bello e il cibo apparentemente “bello” è forse quello meno sano: ma purtroppo anche questo è un risvolto negativo dell’incombenza del food-design. Il simbolismo genera aspettative di ricambio continuo e di movimento ma nello stesso tempo può essere sintomo di instabilità se l’icona non diventa icona e cade nel banale. Così è per l’opera d’arte che diventa tale se acquista un proprio significato unico e indistinguibile segnato da uno stile inconfondibile di un autore; quando così non è l’opera artistica, se pure gradevole finisce nel dimenticatoio!

Titolo Bello da mangiare. Il cibo dall’arte al food design
Autore Ave Appiano
Casa Editrice Cartman (Collana Le Muse)
Pagine 152 (Illustrato a colori)
Edizione Maggio 2012
Lingua Italiano
ISBN 9788889671351

L’autrice… Ave Appiano è docente presso l’università degli Studi di Torino è esperta di semiotica dell’arte e di Visual Design. Tra le sue pubblicazioni più recenti Estetica del rottame (Molteni), Dentro l’arte (Ananke), Anima e forma (Ananke), Onde e forma (Cartman) e Senso comune e creatività (Cartman).

Photocredit immagine in evidenza : Juan Van der Hamen y Leon, Natura morta, 1624, Madrid.

Mariangela Martellotta

Bello da mangiare. Il cibo dall’arte al food design

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